Abitanti di pianura

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"Crowded side", Oche selvatiche, folage e nutrie sulla riva della palude al margine del canneto. In lontananza è l'Appennino Modenese. Mirandola (MO). - Sony a6000, 330 mm, 1/1250 sec a f - 7,1, ISO 500 - Simone Pelatti, 2020.
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Poco dopo la prima riapertura post-quarantena del 18 Maggio, sono uscito per un giro in bici in campagna. Speravo di avere l’occasione per fare movimento fuori dal solito giardino e almeno qualche fotografia.

Ma non sapevo esattamente cosa.. Paesaggi? Animali? Dettagli di piante? ..? Quindi mi sono caricato lo zaino con un grandangolare (Tokina 11-16 f2.8) e uno zoom supertele (Tokina 80-400 f4.5-5.6). Giusto per pedalare leggero insomma..

Più chiara era invece la direzione che volevo prendere: nel profondo della campagna a nord-est di Mirandola si trova la riserva faunistica “Valli le Partite”, localmente nota come “la Tomina”, per via del nome del grande casolare diventato poi sede di un ristorante, che era anche il centro di riferimento per tutti i visitatori (tante scolaresche) e appassionati di natura, bird-watching e zanzare. (In realtà “le Partite” e “la Tomina” sono due aree distinte, distanti circa un paio di Km, ma che spesso vengono sovrapposte nel parlar comune, o inglobate nel termine “Valli Mirandolesi”).

Comunque la si voglia chiamare, in questa zona sono mantenute ampie aree acquitrinose, che fanno parte di un corridoio migratorio europeo per l’avifauna. Infatti, queste paludi sono frequentate da molte specie di uccelli acquatici, e altra fauna endemica.

Scelta la direzione e preparato lo zaino, ho inforcato la bici e sono partito nel caldo del tardo pomeriggio di fine Maggio. Era una giornata limpida, senza nuvole o foschia, con un vento leggero e piacevole. La prima cosa che si nota, in pianura, è l’orizzonte:

"Salire - dalla Bassa verso l'alto", un getto irriga i campi della campagna Mirandolese, tagliando in prospettiva le ciminiere della centrale termoelettrica di Ostiglia e il Monte Baldo, a 100 Km di distanza.  - Sony a6000, 400 mm, 1/400 sec a f - 18, ISO 800 - Simone Pelatti 2020
“Salire – dalla Bassa verso l’alto”, un getto irriga i campi della campagna Mirandolese, tagliando in prospettiva le ciminiere della centrale termoelettrica di Ostiglia e il Monte Baldo, a 100 Km di distanza. – Sony a6000, 400 mm, 1/400 sec a f – 18, ISO 800 – Simone Pelatti 2020

L’aria era talmente pulita (complice anche il blocco dovuto al Coronavirus) che si potevano vedere distintamente le montagne sia a sud (Appennino Modenese) sia a Nord (Prealpi Veronesi). In particolare si notava il Monte Baldo, a circa 100 Km di distanza, in linea con le ciminiere della centrale termoelettrica di Ostiglia.

L'asse ottico tra lo scatto della foto nelle valli di Mirandola, la centrale termoelettrica di Ostiglia e il Monte Baldo, con le rispettive distanze.
L’asse ottico tra lo scatto della foto nelle valli di Mirandola, la centrale termoelettrica di Ostiglia e il Monte Baldo, con le rispettive distanze.

Il monte Baldo (dal tedesco Wald, bosco) è un massiccio montuoso delle Prealpi Gardesane con un’altezza massima di 2218 m, che si estende per 40 Km da nordest a sudovest.

Quello che univa i miei piedi fino a quell’orizzonte lontano erano i campi. Sconfinati, per tutta la pianura, coltivati a grano, mais, o con serre per i meloni e le angurie (che in questa zona chiamano “cocomere”, femminile), che crescono bene in questo terreno sabbioso che una volta (tante volte) è stato il letto del Po’.

Anche gli asparagi ci stanno bene, mentre sull’altra sponda del fiume, nel mantovano, si sono specializzati nella zucca, da cui i tortelli. Ma la maggior parte degli appezzamenti sono destinati ai cereali, che in quei giorni già iniziavano ad ingiallire.

"Far surface", l'orizzonte della valle mirandolese verso Nord, limite tra il cielo azzurro striato di cirri e i campi coltivati a cereali ormai maturi, delimitati dal fosso e canneto in primo piano. - Sony a6000, 11 mm, 1/80 sec a f - 22, ISO 100 - Mirandola (MO) - Simone Pelatti, 2020.
“Far surface”, l’orizzonte della valle mirandolese verso Nord, limite tra il cielo azzurro striato di cirri e i campi coltivati a cereali ormai maturi, delimitati dal fosso e canneto in primo piano. – Sony a6000, 11 mm, 1/80 sec a f – 22, ISO 100 – Mirandola (MO) – Simone Pelatti, 2020.

E proprio tra i campi, ho incontrato i primi abitanti di queste zone umide: un gruppo di aironi bianchi che pascolavano tra gli arbusti, a circa 100m di distanza. Approfitto di una coppia che si discosta dagli altri per riprenderla con tutta l’estensione del 400mm (che su aps-c è un 600 equivalente). Scelgo il bianco e nero per far risaltare il bianco, e per nascondere i riflessi sulle foglie verdi, che non mi convincevano.

"White feathers", coppia di aironi bianchi, tra i campi delle valle Mirandolesi.  - 400 mm,1/100 sec a f-32, ISO 500 - BN mix in Adobe Lightroom - Simone Pelatti 2020.
“White feathers”, coppia di aironi bianchi, tra i campi delle valle Mirandolesi. – 400 mm,1/100 sec a f-32, ISO 500 – BN mix in Adobe Lightroom – Simone Pelatti 2020.

L’Airone Bianco Maggiore (Casmerodius alba) è il più grande tra gli Ardeidae presenti in Europa, dal caratteristico collo a esse e dal piumaggio bianchissimo durante tutto l’anno. Se non che, nella stagione riproduttiva, sfoggia il suo “abito nuziale”, con un piumaggio ancora più brillante e il becco annerito.

Vive in coppie o piccoli gruppi, ed è abbondantemente diffuso nelle zone umide di tutta Italia, dove era precedente solo di presenza stagionale e migratoria, mentre già dagli anni ’90 è stanziale anche in inverno nel nord Italia (fatto può raccontare qualcosa su cambiamento climatico e riscaldamento globale..).

L’airone sta vicino all’acqua, e infatti ero ormai arrivato agli stagni de “la Tomina”, dalla parte di via Pitoccheria, un’antica strada che costeggia la “Fossa Morena”, una canalizzazione di cui si trova traccia già nelle carte del 1700 e che funge sia da scolo che da presa di irrigazione, immersa nella campagna e marginata da canneti.

Fossa Morena di Mortizzuolo su mappa del 1705
Fossa Morena di Mortizzuolo, dettaglio da “Mappa dell’antico ducato della Mirandola e di Concordia” – immagine scannerizzata da riproduzione del 1934 da stampa del 1705 – Giuseppe Scarabelli Pedoca – Mappa completa su wikipedia.it

Scorre, attraverso il Cavo di Sotto, fino a San Martino Spino, dove confluisce nel Canale Quarantoli, altra storica opera di imbrigliamento delle acque, che gestisce la maggior parte degli scoli da Ponte Rovere a Pilastri, dove si immette nel Canale Collettore di Burana. Quest’ultimo porta finalmente tutte le acque nel fiume Panaro, in quell’incrocio di flussi che è Bondeno, o direttamente in Po’ attraverso il Canale delle Pilastresi (cartografia idrica della rete di bonifica di Burana).

"Hidden horizon", giunchi e canne al margine di una delle paludi delle Valli Mirandolesi.  - Sony a6000, 330 mm, 1/1250 sec a f - 7,1, ISO 500. Simone Pelatti, 2020
“Hidden horizon”, giunchi e canne al margine di una delle paludi delle Valli Mirandolesi. – Sony a6000, 330 mm, 1/1250 sec a f – 7,1, ISO 500. Simone Pelatti, 2020

Ho trovato un ponte cieco per attraversare la Fossa Morena, che mi separava dall’acquitrino, e fare poca strada prima di scendere dalla bici e addentrarmi nel canneto, tappezzato di giovani ortiche. Non c’era un sentiero chiaramente calpestato, solo qualche traccia, segno che non sia un punto molto frequentato, se non da qualche bird-watcher o pescatore (di frodo), ipotesi che ho fatto quando ho trovato a terra alcuni gusci di gambero.

Sono riuscito a fare capolino tra i giunchi e ambientarmi con il paesaggio, quando noto sulla riva opposta (o un isolotto piuttosto grande), a circa 100 metri, alcune macchie nere che si muovevano lentamente, al bordo del canneto.

Non capivo, a quella distanza, se fossero nutrie o uccelli ma, traguardando dal mirino della fotocamera, ho scoperto che entrambe le ipotesi erano corrette: c’era infatti un gruppo di folaghe e una coppia di nutrie.

Stavo per inquadrare bene e scattare la foto, quando dal canneto è emerso un gruppo di oche selvatiche, composto da alcuni adulti e numerosi sub-adulti, che ancora stavano insieme, sorvegliati dai genitori. Il loro arrivo non ha minimamente scosso gli animali già presenti: una bella performance di coesistenza pacifica tra specie diverse.

"Crowded side", Oche selvatiche, folage e nutrie sulla riva della palude al margine del canneto. In lontananza è l'Appennino Modenese. Mirandola (MO).  - Sony a6000, 330 mm, 1/1250 sec a f - 7,1, ISO 500 - Simone Pelatti, 2020.
“Crowded side”, Oche selvatiche, folage e nutrie sulla riva della palude al margine del canneto. In lontananza è l’Appennino Modenese. Mirandola (MO). – Sony a6000, 330 mm, 1/1250 sec a f – 7,1, ISO 500 – Simone Pelatti, 2020.

La folaga eurasiatica o folaga comune (Fulica atra) è un uccello acquatico della famiglia dei Rallidi.

Ha il piumaggio nero, con una macchia bianca sulla fronte, detta scudo frontale, che culmina sul becco bianco. Ha corpo di medie dimensioni, gambeforti con dita allungate e semi-palmate, caratteristica che rende le folaghe ottime nuotatrici e tuffatrici, mentre sulla terraferma si muovono goffamente.

Sono uccelli timidi: minacciate dal pericolo, si riuniscono tutte assieme, ponendosi sull’acqua una accanto all’altra, e battono l’acqua con le zampe onde schizzarla contro il nemico.

La Nutria (Myocastor coypus), invece, è un mammifero roditore, originario del Sud-America e introdotto in Europa come animale da pelliccia. In seguito diventato specie aliena invasiva, dannosa per l’agricoltura e in grado di trasformare interi paesaggi. Infatti si nutre preferibilmente di piante acquatiche, specialmente bulbi e radici, e la voracità di alcuni gruppi può progressivamente trasformare aree paludose vegetative in acque completamente aperte.

Nonostante l’avversione dei contadini e delle persone in generale, è un animale mite e sedentario, che deve fronteggiare, oltre all’uomo, numerosi predatori naturali, tra cui, in Italia, la volpe, il cane, la poiana, il falco di palude e l’allocco.

"Water Leaving", Oche selvatiche in acqua, folage e nutrie sulla riva della palude al margine del canneto. In lontananza è l'Appennino Modenese. Mirandola (MO).  - Sony a6000, 400 mm, 1/320 sec a f - 14, ISO 500 - Simone Pelatti, 2020.
“Water Leaving”, Oche selvatiche in acqua, folage e nutrie sulla riva della palude al margine del canneto. In lontananza è l’Appennino Modenese. Mirandola (MO). – Sony a6000, 400 mm, 1/320 sec a f – 14, ISO 500 – Simone Pelatti, 2020.

L’oca selvatica (Anser anser), anche detta “oca cenerina” proprio per la caratteristica sfumatura grigio-cenere del suo piumaggio, appartiene alla famiglia degli Anatidi. È considerata l’antenata dell’oca domestica europea, le cui penne erano usate come calamo, volano o dardo per frecce. L’etologo Konrad Lorenz ha condotto su alcuni esemplari di questa specie i sui studi sul fenomeno dell’imprinting.

L’oca è erbivora e spiccatamente migratrice, con le tipiche formazioni aeree “a V”, come anche le anatre e i germani, ma in Emilia-Romagna diverse popolazioni sono diventate sedentarie, nidificando e riproducendosi in questa regione.

Ho seguito con lo sguardo il gruppetto di oche, che hanno attraversato a nuoto la palude, coperte dai giunchi.

"Water crossing", Oche selvatiche in acqua, nella palude al margine del canneto. Mirandola (MO).  - Sony a6000, 180 mm, 1/320 sec a f - 14, ISO 500 - Simone Pelatti, 2020.
“Water crossing”, Oche selvatiche in acqua, nella palude al margine del canneto. Mirandola (MO). – Sony a6000, 180 mm, 1/320 sec a f – 14, ISO 500 – Simone Pelatti, 2020.

Arrivate su un’altra riva, sono risalite dall’acqua, ed è lì che ho notato una macchia bianca che subito non ho saputo decifrare, perchè lontana e nascosta dalle canne. Era sicuramente un grande uccello, pensavo ad una cicogna per via della forma del corpo e delle piume scure ai bordi delle ali. Ma non mi convinceva: avrei dovuto riconoscere il lungo becco dritto e arancione, invece non si vedeva!

"A stop along the way", gruppi di oche selvatiche e ibis sacro sulla riva della palude a margine del canneto. Mirandola (MO). - Sony a6000, 290 mm, 1/320 sec a f - 14, ISO 500 - Simone Pelatti, 2020.
“A stop along the way”, gruppi di oche selvatiche e ibis sacro sulla riva della palude a margine del canneto. Mirandola (MO). – Sony a6000, 290 mm, 1/320 sec a f – 14, ISO 500 – Simone Pelatti, 2020.

Poi ho ingrandito con la fotocamera e ho visto meglio: il capo nero e quel becco ricurvo.. Possibile che quell’animale fosse qui, a migliaia di Km di distanza dal suo areale d’origine? Un Ibis Sacro, l’uccello dei faraoni, nella Bassa Modenese!

Ibis Sacro, ingrandimento - Simone Pelatti 2020
Ibis Sacro, ingrandimento – Simone Pelatti 2020

Ho poi scoperto che da pochi anni questa specie si è diffusa anche in alcune aree europee, a partire dal Nord-Africa o perchè introdotta artificialmente in parchi e giardini, mentre in Egitto, suo luogo storico di riferimento, è praticamente scomparsa.

L’ibis sacro (Threskiornis aethiopicus) è un pelecaniforme della famiglia dei Treschiornitidi, endemico dell’Africa subsahariana, in Iraq e anticamente in Egitto.

Ha il piumaggio uniformemente bianco (presentante alcuni riflessi verdi o bluastri), zampe, becco, estremità delle ali e coda nere. Ha una taglia abbastanza grande, con un’apertura alare di circa 120 cm. Come tutti i ciconiformi, vola con le ali aperte e le zampe slanciate.

Oca selvatica e Ibis Sacro, ingrandimento - Simone Pelatti, 2020
Oca selvatica e Ibis Sacro, ingrandimento – Simone Pelatti, 2020

L’ibis sacro è prevalentemente carnivoro: si nutre di piccoli pesci, invertebrati, serpentelli e batraci nonché uova e pulcini di altre specie di uccelli, giovani coccodrilli appena nati o persino le uova e i piccoli delle tartarughe marine. La sua tecnica è piuttosto semplice: fissata la preda, l’ibis la segue con lo sguardo e, alla prima occasione, l’afferra con una beccata precisa, ingoiandola intera.

La riproduzione avviene in estate, tra giugno ed agosto: gli ibis sacri si riuniscono nei succitati grandi gruppi e i maschi si formano un harem di femmine, tentando pure di sottrarle ai rivali. Nidifica in colonie, ed entra quindi in contatto con altri volatili. Nelle zone in cui si è naturalizzato, risulta nocivo per l’avifauna autoctona, vista la sua propensione a nutrirsi di uova e pulcini di altre specie.

L’ibis sacro era un animale fondamentale nella religione egizia, associato al dio Thot, simbolo dell’intelligenza e rappresentato anche con un ibis nel suo geroglifico.

Raffigurazione del dio Thot, Tempio di Ramses II, Abido. Wikipedia.it
Raffigurazione del dio Thot, Tempio di Ramses II, Abido. Wikipedia.it

Considerati puri (bevevano solo acqua limpida e pura, usata poi dai sacerdoti per funzione rituale) e utile (divoravano serpenti e carogne), gli ibis erano invocati contro le incursioni dei serpenti e addirittura addomesticati dalla popolazione contro gli stessi. Erano anche allevati in grandi spazi aperti, per poi essere uccisi, mummificati e messi in anfore da dare ai fedeli che invocavano una grazia a Toth.

Fonti:
– Wikipedia.it;
– Consorzioburana.it;
– Albarnardon.it;

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